giovedì 3 febbraio 2011

REG KING - "Reg King" (1971, United Artists)

Non compro più riviste di musica scritte e stampate in Italia, nemmeno quelle su cui scrivo. Per cui non ne ho la certezza matematica, solo quella morale: nessuno ha parlato della morte del Re. Perché, in spregio di quanto scritto anni prima da un altro nobile (stavolta autentico, NdLYS), non si è uguali nemmeno dopo la morte. Ci sono dipartite che fanno rumore e audience, e altre che rimangono nel silenzio. E le riviste hanno i loro morti. E devono avere i vestiti adatti alle tirature.
Reginald King non ce li aveva quei vestiti, nonostante sia stato in vita uno dei più eleganti artisti dell’ Inghilterra moderna. Per quattro anni, dal ’63 al ’67, era stato il vocalist di una delle più talentuose mod bands inglesi, capaci nel volgere di pochi mesi di passare da un raffinato Motown-sound a un’elaborato pastiche psichedelico. Si chiamavano The Action (The Boys dal 1963 al 1965, due 45 giri all'attivo) e vantavano fans accaniti come Phil Collins e Paul Weller.
Evaporata quella stagione con l’ arrivo degli anni Settanta e con gli Action diventati Mighty Baby di Reg si perdono un po’ le tracce. Sta lavorando ad un disco elaborato e complesso per il quale chiede l’ aiuto di qualche vecchio amico: Roger Powell, Brian Godding, Doris Troy, Berry Jenkins, Danny McCullogh, Sua Maestà Brian Auger e Sua Santità Steve Winwood tra gli altri. Ci lavora per qualche anno e alla fine lo pubblica il 2 Luglio del 1971 senza titolo, nonostante la copertina rimanga quella pensata per il titolo iniziale del progetto Horror Movie.

L'esplosione dell’ hard rock e dell’hard blues che nel frattempo ha invaso il continente ha lasciato i suoi sedimenti. Un episodio come Savannah, con i suoi dodici minuti di fuochi d’ artificio chitarristico e il dinamitardo Hammond di Auger ne sono la testimonianza più evidente ma anche lo splendido pezzo d’ apertura è una roba che potrebbe tranquillamente infilarsi senza sfigurare tra un Humble Pie, un Guess Who e un Ten Years After qualsiasi mentre That ain ‘t living è un tirato boogie degno dei Creedence Clearwater Revival in cui si aprono fenditure prog che la voce di Reg scalda di calore blue-eyed soul. In my dreams è recuperata dalle ultime cose degli Action e mostra grandi intuizioni zeppeliniane. Anche la Little Boy preferita alla bellissima You go have yourself a good time (un pezzo che, se amate Rod Stewart non potete esimervi dal conoscere, NdLYS) come singolo per rappresentare l’ album risale ai tempi di “Rolled Gold” ed infatti brilla delle stesse vibrazioni psych
dell’ ultima fase Action.
L’ album, nonostante sia un gioiellino di arte pop con l’ anima, è un flop commerciale che trascina Reg nell’oblio (e giù dalle scale) da cui emergerà solo moltissimi anni dopo nel 2000 in occasione della reunion degli Action e della sua partecipazione nell’ album di debutto di Andy Lewis, poco prima della ristampa su Circle Records (2006, 7 bonus tracks) di questo suo disco e di altra memorabilia col suo nome. Poi la malattia lo divorerà come un wafer, fino all’ ultimo morso dell’ 8 Ottobre 2010. Ma la sua morte non farà notizia. Quella di Solomon Burke, uno dei suoi idoli, avrebbe avuto miglior fortuna, due giorni dopo.

Franco Lys Dimauro

TonyFaceBlogspot

1 commento:

aldo ha detto...

Non mi meraviglio che non si sia parlato della sua morte in Italia...
Una curiositá, la sua "Little Boy" che venne resuscitata nell'album retrospettivo "Rolled Gold" degli ultimi, stupendi Action in versione psichedelica, (ed ancor prima in un vinile chiamato "The Brain" se non sbaglio...)in realtá si pubblicó nel 1968 come retro dell'ultimo singolo degli Scozzesi BEATSTALKERS, che ne fanno una versione stupenda.
Grazie Franco!