sabato 6 agosto 2011

LIVE REPORT: “Russian Circles” + “Boris” - Traffic, 4 luglio 2011, Roma

Non capita tutti i giorni di poter assistere nella stessa serata ad un concerto dei Russian Circles e di Boris. L’occasione è indirettamente fornita dalla etichetta Sargent House che ha prodotto l’edizione in vinile degli ultimi album dei Russian Circles (“Enter”, “Station” e “Geneva”) e le uscite 2011 degli album di Boris per il mercato non giapponese (“Heavy Rocks” e “Attention Please”). I Russian Circles provengono da Chicago e fanno un solido post-rock mentre i Boris provengono da Tokyo e sono caratterizzati da un
camaleontico eclettismo che li ha portati dal 1992 ad oggi ad esplorare il drone-rock, l’experimental, il noise, lo stoner-metal, l’ hardcore, il pop-rock, in una miscela assolutamente nuova che ne costituisce di fatto un marchio di fabbrica.

Russian Circles
Arrivo nelle nuova sede del Traffic sulla via Prenestina verso le 21 e 30, giusto in tempo per assistere alle battute finali dei Saade, una band ceca di stoner-sludge, di cui non so nulla se non che ha realizzato uno split insieme ai Boris, un 7’’ in cui compare per la prima volta il brano Czechoslovakia dalla forza evidentemente evocativa, ripreso dai Boris anche in “Heavy Rocks”.I Russian Circles non hanno album da promuovere e possono quindi permettersi di costruire una setlist costituita dai brani più famosi, iniziando con Harper Lewis , uno dei pezzi più intriganti del penultimo “Station” (2008). Dal pubblico si alza subito un applauso di approvazione. Il batterista Dave Turncrantz appare subito in grandissima forma. Di contro il chitarrista Mike Sullivan sta ancora armeggiando sulla pedaliera, quando prendo strategicamente posizione di fronte all’amplificatore di sinistra davanti al palco, in una posizione che mi consentirà prima di osservare ed ascoltare la tecnica
del chitarristica di Chicago e successivamente di ammirare, da una posizione assolutamente privilegiata, la bravura e la bellezza di Wata, fascinosa chitarrista del Boris. Gioia per gli occhi e sofferenza per le orecchie, ma ne valeva la pena. A metà concerto ci sono agli applausi a scena aperta per Youngblood , brano che rimanda alle sonorità dei concittadini Pelican. A detta dei detrattori (che sono molti) questi Russian Circles sono una band che realizzano troppa “forma” e poca “sostanza”. Non so sinceramente se vi sia solo “forma”, ma è sicuramente una “forma” che piace. Ottima impressione live, aspettiamo adesso il prossimo album in studio. Il concerto si chiude con Death Rides a Horse, pezzo del loro primo e forse più ispirato “Enter” (2006).

Boris
E’ il momento dei Boris. I Boris, come molte altre band giapponesi hanno la capacità di attrarre noi occidentali per quel misto di fascino esotico e di eccentricità. L’eccentricità è certamente presente nell’eclettismo camaleontico che ha caratterizzato tutta la loro produzione, dalla sperimentazione heavy rock più dronica sino all’ultimo pop più sognante e psichedelico. E’ proprio questa l’eccentricità che ha portato i Boris a realizzare, in questo avvio di 2011, due album così diversi e complementari come “Heavy Rocks” e “Attention Please”. Una tensione che tonifica i muscoli e li strappa allo stesso tempo: questa è la sensazione che si ha anche ascoltando i loro concerti live. Il concerto parte subito con l’esplosiva Riot Sugar, brano che apre “Heavy Rocks”, con cui i Boris cercano di completare il processo di ridefinizione del concetto di pesantezza, tra sonorità drone, noise e stoner. Proseguono con 8 sino ad arrivare ad Attention Please, brano con cui lasciano campo libero alla talentuosa ed fascinosa Wata. Con Attention Please le sonorità si fanno più pop e rarefatte, sebbene persista sempre un sottofondo di anima noise, mentre con Party Boy siamo di fronte ad un pop-noise più accattivante e melodico. Osservare ed ascoltare Wata appoggiato al suo amplificatore non è il massimo per le mie orecchie, ma la sua bellezza orientale mista di timidezza e fascino è davvero irresistibile. In alcuni passaggi il concerto mostra un pò di stanchezza sino a quando non si arriva a Aileron, cavalcata psichedelica dalla forza devastante della durata di 12 minuti, con cui i Boris decidono di chiudere il concerto. Il pubblico non chiama per il bis, ma va bene cosi.
 Felice Marotta

fotografie di Felice Marotta

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