sabato 9 aprile 2011

MADE IN ITALY - The Oracles: "Have A Nice Trip" (2011, Nexus Records)

Da Pordenone a ritmo di rock inglese, gli Oracles confezionano un disco di debutto che recita il seguente leit motiv: a noi piace suonare diretti, garage e rock’n’roll come i nostri idoli. E infatti ascoltando le canzoni del disco "Have a nice trip" si possono sentire i suoni di band come Jet e Oasis, di cui la band è fan dichiarata. Non vogliono inventare nulla questi ragazzi, semplicemente suonare del buon rock in stile ‘60’s/90’s che ti conquista al primo ascolto, in particolare il singolo (e anche videoclip) What’s my style, con cui batterete il piedino al ritmo saltellante delle chitarre e della batteria. Il disco alterna brani diretti a pezzi più melodici e introspettivi con cori a go go.
La produzione è affidata ad Enrico Berto, che ha dato alla band una impronta internazionale che è stata suggellata dal master engineer Mike Marsh, già al lavoro con Oasis, Massive Attack, Depeche Mode e altri personaggi importanti. Non aspettatevi suoni indie wave secchi e compressi, qui i ragazzi suonano naturali e senza filtri, colpendo subito per la freschezza delle composizioni e per la genuinità del lavoro, confezionato in digipack. Il titolo potrebbe trarre in inganno e dare adito alle solite allusioni con la droga: in realtà il “trip” è inteso come un vero viaggio musicale alla scoperta del loro futuro, che vista la determinazione nella band di farsi sentire si spera sia roseo. Se proprio vogliamo trovare qualche difetto forse è nella troppa omogeneità dei brani, nel fatto che magari i ragazzi avrebbero potuto osare di più, ma data la loro giovane età è un esordio più che buono. Accendete dunque lo stereo, infilate il cd e mettetevi a fare l’air guitar senza tanto pensarci su.
Gianluca Merlin


The OraclesMyspace
The Oracles
TheOraclesaLondon Calling

Produzione: Enrico Berto
Studio di registrazione: Mushroom Studio, Pordenone


The The Lior Kneazir (Voce)
Federico Mengoz (Chitarra elettrica)
Antonio Uras (chitarra elettrica)
Marco Sacilotto (Basso)
Paolo Calderan (Batteria)

Tracklist:
1. I wanna live in a dream machine
2. What’s my style
3. Prisoners
4. Not my time
5. Wisdom & rock & roll
6. Hand in hand
7. Mushroom
8. Jukebox
9. Checkpoint Charlie
10. Revolution

CANNED HEAT 1967 - 1970: Blues e Boogie-Rock in acido! Part 1: 'Blind Owl Blues' book, C.Heat & A.Wilson: a brief history, "Living The Blues (1968)"

"Blind Owl Blues - The Mysterious Life And Death Of Blues Legend Alan Wilson" by Rebecca Davis Winters 
Era da molto tempo che volevo scrivere dei Canned Heat, un grandissimo amore e fonte di crescita musicale giovanile per me e per tutti quelli che ebbero la fortuna anagrafica di vivere in tempo reale le eccezionali innovazioni nel blues e nel rock degli anni '60. Parlerò estesamente della band nella seconda parte di questo speciale. A volte ci sono delle coincidenze incredibili nella vita: mentre rimuginavo su questo articolo ho conosciuto navigando in Facebook e grazie all'indicazione di un collaboratore di Distorsioni (Vincenzo Erriquenz) Rebecca Davis Winters, un'amica americana che ha scritto e pubblicato nel 2007 "Blind Owl Blues - The Mysterious Life And Death Of Blues Legend Alan Wilson", purtroppo non tradotto in italiano, che io sappia. Rebecca é stata così gentile da inviarmelo e mi sono riproposto con spirito certosino di tradurlo almeno in parte. Si tratta una corposa ed approfondita indagine di 250 pagine sulla sfaccettata ossessione del giovane artista americano Alan Wilson per il blues, a partire dalle sue origini più rurali, e sulle complesse vicende esistenziali dell'anima 'fragile' della band di boogie-blues per eccellenza degli anni '60. Dopo aver fatto amicizia rapidamente grazie a questo interesse in comune, dietro mia sollecitazione Rebecca ha accettato di scrivere (per me e Distorsioni) un intrigante articolo-sintesi del suo prezioso libro. La versione italiana di questo articolo é stata curata dalla nostra collaboratrice Myriam Bardino (che ringrazio sentitamente!) e ve la propongo qui di seguito, in veste di graditissima e significativa integrazione internazionale al mio articolo sulla band. Vi troverete tantissime notizie e retroscena atti a far luce sulla breve (morì a 27 anni) e sfortunata esistenza di una leggenda del blues, Alan Wilson (wally boffoli)


Canned Heat and Alan "Blind Owl" Wilson: a brief history (Jul 4, 1943 in Boston, MA -Sep 3, 1970 in Topanga Canyon, CA

Nella storia del rock, i Canned Heat sono per lo piú conosciuti e ricordati per i loro successi On the Road Again, Going Up the Country, Let’s Work Together (divenuti degli hits nelle Billboard charts) e Time Was. Ad ogni modo sia il gruppo che in particolare l’ultimo Alan “Blind Owl” Wilson, hanno prodotto un seguito unico e devoto. I Canned Heat si distinguevano dai loro contemporanei nella scena del rock blues negli anni ‘60. Erano formati da due insaziabili collezionisti di vinili, Alan Wilson e Bob Hite e la maggior parte del loro repertorio era influenzato dalla scena di quel blues rurale che esisteva prima della seconda Guerra mondiale. L’alto timbro vocale che Alan Wilson usó nei loro primi due successi On the Road Again e Going Up the Country, fu modellato su quello del bluesman del Mississippi, Skip James.

La giovinezza e l’ossessione per il blues!
Alan Wilson nacque ad Arlington nel Massachussetts il 4 Luglio del 1943 da una famiglia di operai. I suoi interessi per la musica furono incoraggiati dalla sua famiglia e il suo inusuale talento fu subito chiaro. Lo si ricorda per aver un’intonazione perfetta ed un’abilitá sorprendente a imparare dei nuovi strumenti musicali in pochi giorni. Da adolescente, Wilson suonó il trombone in diversi gruppi della scuola superiore. Fuori da scuola formó un combo jazz chiamato The Crescent City Hot Five. Dopo la maturità frequentó l’Universitá di Boston per piú di un’anno, e lì prese in considerazione di laurearsi in musica. Ma erano piu’ interessanti i locali folk di Cambridge, dove occasionalmente si esibivano anche gli artisti blues. Nel blues, il suo primo partner fu David Evans, adesso un professore di etnomusicologia a Memphis, nel Tennessee. I due iniziarono a suonare in una varietá di locali nell’aerea di Cambridge, con Evans al canto e Wilson alla chitarra che lo accompagnava alla chitarra e all’armonica. Il loro repertorio consisteva in vecchie canzoni blues di Tommy Johnson, Booker White e Robert Johnson (Blind Owl Wilson - Sloppy Drunk). Come nei Canned Heat, Wilson cantava solo occasionalmente ma stava gia’ sviluppando il suo stile vocale.
Nel 1964, Wilson incontró Booker “Bukka” White, che era appena stato riscoperto e faceva dei concerti nei locali folk di Cambridge. Parlando con White, Wilson venne a sapere che Son House, uno dei bluesman più seminali, era ancora vivo. I suoi amici della sua zona, Dick Waterman e Phil Spiro andarono con Nick Perls, un collezionista di dischi di New York a cercare House. Lo trovarono a New York nel Giugno del 1964. Probabilmente Alan Wilson aiutó Son House a imparare di nuovo delle parti di chitarra di vecchio blues dimenticate in anni ed anni in cui aveva trascurato la musica a causa dei suoi abusi d’alcool. Tra l’altro Wilson si può anche sentire sull’album “Father of the Delta Blues” di House. Nel Massachussets in quegli anni Wilson incontró anche altri bluesmen come Mississipi John Hurt, Robert Pete Williams e Skip James.Nel 1965, John Fahey fece un concerto a Cambrige e strinse amicizia con Alan Wilson. Fahey che aveva già registrato dei dischi in quegli anni, fu anche coinvolto nella riscoperta di Booker White e Skip James. In quel periodo, Fahey stava lavorando alla sua tesi per il master in Musicologia all’ UCLA, ma aveva dei problemi con la scrittura musicale. Wilson si propose d’aiutarlo in cambio di un passaggio a Los Angeles, ed una camera con pensione al loro arrivo. Fahey gli raccontó delle storie sulle donne californiane, assicurandogli che gli avrebbe trovato una ragazza che avrebbe fatto al caso suo, tra I suoi amici.

La California: The Canned Heat, la cultura’acida
In California, gli orizzonti personali e musicali di Wilson si espansero considerevolmente. Oltre a prendere dell’ LSD per la prima volta nella sua vita ed imparare a suonare il banjo a cinque corde, incontro’ Bob Hite, un uomo che avrebbe cambiato il corso della sua carriera. Bob Hite era suo coetaneo: nacque a Torrence, in California, il 26 Febbraio 1943. Con il suo migliore amico Claude McKee inizió a collezionare dischi. I due avrebbero finito per pubblicare una rivista di corta durata dedicata ai dischi R&B. Bob gestiva anche un negozio di dischi dove, un giorno, John Fahey porto’ il suo nuovo amico Alan Wilson. Hite e Wilson diventarono rapidamente amici. Tutt’e due erano ossessionati dai dischi del primo blues rurale e Bob, che viveva ancora con la sua famiglia, gli trovó un posto dove poteva sentirsi il benvenuto e avere qualche pasto. Prese qualche lezione da Alan e in cambio gli permise di usare il suo materiale. Con John Fahey, Bob Hite e Alan Wilson formarono una jug band. Ma, quando Wilson espresse il suo interesse per la chitarra elettrica, Fahey, contrariato, lasciò perdere tutto. Alan Wilson trovó il suo chitarrista elettrico ideale in Henry Vestine di Takoma Park, Maryland. Vestine era un vecchio amico di Fahey ed anche lui era stato coinvolto nella riscoperta di Skip James. Stilisticamente, era stato influenzato da Albert King, BB King , Freddie King ed Albert Collins. Con il bassista Mark Andes e il batterista Frank Cook, il gruppo inizió a fare dei concerti come Canned Heat Blues Band. Incontrarono qualche difficolta fino all’incontro con i managers Skip Taylor e John Hartman, che gli assicurarono un contratto discografico con la Liberty Records. A questo punto, Mark Andes lasció il gruppo per raggiungere gli Spirit e fu sostituito da Larry Taylor, un eccelso bassista che aveva suonato professionalmente fin da adolescente. Il primo concerto importante fuori Los Angeles fu il festival pop di Monterey nel 1967. Sul palco, Bob Hite era il front-man consistente della band, interagendo con il pubblico e facendo salire la temperatura della musica. Anche se, d’altra parte, il fulcro musicale rimaneva Wilson. La sua chitarra ritmica, che affondava le radici nel blues modale di Tommy Johnson, Charley Patton e John Lee Hooker era il perfetto supporto alla sfrontata e spigolosa chitarra solista di Henry Vestine. Wilson aveva anche creato gli arrangiamenti per il gruppo e si stava facendo conoscere anche per il profondo mood blues della sua armonica. Benchè cantasse solo occasionalmente, una volta sentito, il suo stile di tenore alto era indimenticabile ed infondeva una notevole inconfondibile qualitá al suono dei Canned Heat. Il primo album omonimo “The Canned Heat” per l’etichetta Liberty Records consisteva in standards del blues. Eliminarono l’appellativo “Blues Band” dal loro nome, pensando che l’etichetta “blues” avrebbe scoraggiato il mercato pop per l’acquisto del disco. Il secondo album della band “Boogie With Canned Heat” si avventuró in territori piú originali quando i Canned Heat iniziarono a sviluppare il loro suono ed interpretazioni personali del blues tradizionale. Il loro suono fu rafforzato dal nuovo batterista, Adolfo Fito de la Parra, che aveva una vera passione per il blues. In “Boogie With Canned Heat” si fanno notare già dei connotati musicali psichedelici e una nuova e forte presenza della della chitarra principale. Questo disco include anche due canzoni cantate da Alan Wilson tra cui On the Road Again, che fu il primo successo del gruppo. Originalmente sul lato B di un 45 giri, On the Road Again inizio’ ad essere trasmessa dalle stazioni radio del Texas e fu ristampata dalla Liberty Records nel ato A di un’altro singolo. Per i Canned Heat, fu il trampolino per una celebrita’ tutta nuova. On the Road Again esemplifica il profondo interesse di Wilson per la musica classica indiana. In questo singolo, Wilson suona la tambura e sperimenta anche la veena. La natura modale della musica indiana era, alle sue orecchie, completamente compatibile con la tradizione pentatonica blues di Fred McDowell, John Lee Hooker e simili. Durante questo periodo, nel corso della campagna marketing per la loro immagine pubblica, il gruppo sceglie dei soprannomi. Wilson era gia’ stato soprannominato “Blind Owl” (la civetta cieca) da John Fahey, data la sua faccia rotonda e l’apparenza da scolaro combinata ad i suoi problemi di vista (anche se non era completamente cieco e vedeva abbastanza bene da essere capace di prendere una patente); Hite fu chiamato “The Bear” (l’orso) dato la sua enorme stazza; Henry Vestine diventó “The Sunflower” (Il girasole),perche’ quando era su scena, la sua esile figura e i suoi lunghi capelli biondi suggerivano un girasole. Il bassista Larry Taylor divenne “The Mole” (la talpa), e il batterista Adolfo de la Parra divenne “Fito”. La psichedelia prese ancora più piede nel loro seguente doppio album “Living the Blues”. Il secondo disco di questo set consisteva in un lunghissimo boogie dal vivo. Anche degno di nota fu Parthenogenesis, che consisteva in sperimentazioni musicali dei vari membri del gruppo. La maggior parte dei pezzi di Wilson, erano dei “raga” di armonica cromata o chromonica (chromatic harmonica raga) e raga d’arpa da bocca (jaw-harp raga): erano stati anche registrati dall’etichetta Takota di John Fahey qualche anno prima come parte di un album solo che non fu mai completato.
La canzone piú memorabile di “Living the Blues” è naturalmente quella che sarebbe diventato il piu’ grande successo del gruppo: Going Up the Country. Cantata da Wilson, e modellata secondo un disco che il songwriter texano Henry Thomas, registró verso la fine degli anni venti. Fu eseguito live dalla band durante il festival di Woodstock del 1969 e fu anche usato nella colonna sonora del film del festival. Oggi è spesso ricordata come l’inno, non ufficiale, di questo festival.
Ma giá nell’estate del 1969 il fulcro dei Canned Heat non era piu’ stabile. Henry Vestine sviluppó una dipendenza dalla droga che fece regredire le sue capacità musicali. Solo qualche giorno prima del concerto di Woodstock, Vestine lasció il gruppo dopo aver litigato con Larry Taylor, che era stanco di dividere il palco con Vestine e le sue stranezze indotte dalle droghe. Dopo un altro ottimo album, "Hallelujah", uscito sempre nel 1968, il gruppo trovó un nuovo chitarrista principale in Harvey Mandel, che aveva incontrato nel backstage al concerto al Filmore West subito dopo la partenza di Vestine. Mandel aveva precedentemente suonato con Charlie Musselwhite e aveva pubblicato un album strumentale solista “Cristo Redentor”. Benche’ il suo stile era diverso da quello di Vestine, fu capace di integrarsi nel suono blues rock del gruppo e andó in tour con loro, agli inizi degli anni ‘70. Questa formazione registró l’album “Future Blues”, considerato da molti il disco più riuscito dei Canned Heat, eseguito dal vivo con la nuova formazione.


La depressione e l'altro amore/ossessione: gli alberi e la natura
L’assenza di Vestine ebbe un grosso effetto su Wilson, perché molto del suo concetto originale del gruppo si sviluppava attorno all’interscambio tra la sua distintiva chitarra ritmica e quella solista di Vestine. Nel 1970 Wilson aveva provato per un paio di volte a lasciare il gruppo, ma si era sentito obbligato a ritornare, per non abbandonare i suoi amici e colleghi musicali. In piú, dei problemi personali influenzarono la sua salute. Wilson aveva lungamente sofferto di depressione ed era seguito in terapia da specialisti fin dal 1967. Giá in primavera aveva tentato di suicidarsi e fu rinchiuso in un’ospedale psichiatrico. Fortunatamente il suo ospedale era nella stessa strada dello studio di registrazione perche’ il gruppo aveva in progetto di registrare un album con la leggenda blues John Lee Looker. Wilson lasciava l’ospedale durante il giorno per registrare e ci ritornava per la notte. Fu in ogni caso dimesso dall’ospedale con dei farmaci prescritti e con l'impegno che Bob Hite si prendesse cura di lui. Da aggiungere all’eccentricita’ di Wilson era la sua crescente ossessione per le piante e gli alberi. Per anni, era stato considerato un 'animale' prevalentemente musicale, che si occupava piu’ di blues che di qualsiasi altra cosa, inlcuse le relazioni umane. Ma in seguito aveva sviluppato una passione per la natura. Le donne californiane promessegli da John Fahey non gli avevano dato delle grande soddisfazioni e le groupies dei Canned Heat pensavano che Wilson fosse una rock star un po’ troppo strana per i loro gusti. Cosi’, Madre Natura divento’ la sua amante. Con la sua chitarra e le sue armoniche, inizio’ a portarsi appresso anche dei libri di botanica ed a collezionare una grande varieta’ di piante lungo i suoi viaggi. Questo interesse porto’ a Wilson, dei nuovi obiettivi. Prima decise di memorizzare i nomi comuni e scientifici di tutti gli alberi e le piante del mondo. Per Wilson, che aveva già delle inusuali abilita’ intellettuali oltre che un perfetto orecchio musicale, era un compito abbastanza semplice. Una
volta imparati i nomi delle piante, intraprese degli studi scientifici sugli effetti dell’inquinamento sul mondo naturale. Avvicino’ la natura come aveva approcciato la musica: con una mente analitica e scolastica. Quando i resultati dei suoi studi arrivarono, gli effetti su Wilson furono devastanti. Divento’ chiaro che l’inquinamento era un grosso pericolo per la vita della natura nel mondo. Questa conoscenza intensifico’ la depressione di Wilson. D’altra parte l’aiutò anche ad ispirarlo ed iniziò a pianificare e fondare delle organizzazioni non-profit con l’obiettivo di salvaguardare le foreste rosse (redwoods) della costa della California. Aveva creato un forte legame con questi alberi, e passo’ molto tempo a campeggiare nei vecchi boschetti quando non era in tour con i Canned Heat. Quando era in tour, aveva iniziato a portare un sacco a pelo e a spendere le sue notti all’aria aperta quando il tempo lo permetteva. Tristemente, Wilson non sarebbe sopravvissuto alla realizzazione del suo sogno ecologico. Durante gli anni di strada spesi con i Canned Heat, aveva iniziato a soffrire di insonnia, che aveva iniziato a curare da sè con dei barbiturici comprati illegalmente. Questa abitudine avrebbe giocato un ruolo fondamentale per il suo decesso. Il 2 Settembre 1970, Wilson non incontro’ i Canned Heat all’aereoporto di Los Angeles per partire per il tour Europeo. Il giorno dopo, il suo corpo fu trovato nel cortile di Bob Hite, dove campeggiava spesso quando il gruppo non era in tour.
Il risultato dell’autopsia indico’ un’overdose di barbiturici, che in base a tutte le conclusioni fu accidentale. Probabilmente Wilson dopo aver preparato il suo letto, si introdusse nel suo sacco a pelo e non si sveglio piu’ - ed aggiunge wally: 'ricordo benissimo che all'epoca della sua morte si parlò molto sulla stampa rock dello smisurato amore che Alan nutriva per le sequoie e fu ventilato addirittura un suo suicidio volontario in segno di protesta contro il selvaggio ed inarrestabile disboscamento che avanzava!'-. Furono trovate anche tracce di trauma cranico, risultato di un precedente incidente di macchina. Un’amico aveva riferito che Wilson aveva sofferto di gravi mal di testa nelle settimane precedenti alla sua sua morte. Anche se, ad ogni modo, il ruolo del trauma cranico nella sua morte, e’ tutt’ora incerto. Negli anni dopo la morte di Alan Wilson, I Canned Heat continuarono a suonare blues rock e boogie sui palchi di tutto il mondo. Il fratello di Bob Hite, Richard, raggiunse il gruppo come bassista per un certo periodo negli anni '70. Henry Vestine, Harvey Mandel, e Larry Taylor suonarono saltuariamente con il gruppo per tutta la decade. Bob Hite mori’ di un infarto causato dal consumo di droghe nel 1981 e dalla sua vita spericolata. Henry Vestine morì in un hotel per arresto cardiaco nel 1997. Richard Hite morì di cancro nel 2001. I Canned Heat continuarono a fare concerti e registrare sotto la lunga leadership del batterista Fito de la Parra. Nel 2010, alcuni dei familiari di Alan Wilson hanno creato un sito internet, in suo onore. Sperano cosi’, di raccogliere dei fondi per la salvaguarida delle redwoods in California. Musicalmente, la sua visione blues continua ad essere seguita da due generazioni di giovani musicisti e fans.
Rebecca Davis Winters
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Blind Owl Blues


Canned Heat 1967 - 1970
1967 - Canned Heat, Liberty Records
1968 - Boogie with Canned Heat, Liberty
1968 - Living the Blues [Akarma], Liberty
1968 - Hallelujah, Liberty
1970 - Future Blues, Liberty


I Canned Heat tra il 1967 ed il 1970 con la realizzazione/pubblicazione di 5 eccezionali album ridisegnarono il concetto di blues urbano elettrico ripartendo ed attingendo nel repertorio pre-war dei primi 3 decenni del '900 di quel blues rurale di colore da cui é iniziato tutto. La formazione originale dei Canned Heat, senz'altro la migliore, comprendeva Bob Hite alle lead vocals, Alan Wilson vocals, harmonica and bottleneck guitar, Henry Vestine lead guitar, Larry Taylor bass, Adolfo Fido' Dela Parra alla batteria. Con la morte di Alan Wilson nel 1970 essa si disperse, e nell'ultimo grande album inciso insieme in quell'anno, "Future Blues" Henry Vestine era stato già sostituito da un altro grande chitarrista, Harvey Mandel (che avrebbe poi suonato anche con John Mayall). Bisogna sottolineare che si trattava di ottimi musicisti, nessuno escluso, diventati capiscuola nell'affinamento e nelle innovazioni della tecnica del loro strumento, come il batterista Dela Parra con il suo tipico saltellante 'boogie rock' ritmico, Larry Taylor dal 'tiro' bassistico vigoroso e serpentino, che avrebbe (anche lui) collaborato con John Mayall negli anni '70 ed Henry Vestine, chitarrista che sviluppò uno stile talmente personale e spigoloso da diventare un vero mito per gli appassionati, anche se a parere di chi scrive non fu mai valorizzato dalla critica come meritava. Il suo nome non é mai apparso e glorificato nelle cronache degli anni '60 e posteriori accanto a quelli di Clapton,Gallagher, Winter, Alvin Lee. Dal punto di vista vocale i Canned Heat avevano due anime: quella rude e robusta di Bob Hite che si può godere dalle loro incisioni e che si imponeva soprattutto dal vivo, e quella efebica di Alan Wilson, che marchiò i maggiori hits dei Canned Heat, in primis On The Road Again e Going Up The Country. Entrambi avevano una cultura blues notevolissima che filtrarono poi saggiamente nei loro personali stili espressivi. Wilson soprattutto é oggetto negli ultimi anni di una riscoperta massiccia (anche grazie al libro di Rebecca Davis Winters di cui si parla nella prima parte!) da parte delle nuove generazioni blues-dipendenti proprio per merito del mood blues inconfondibile che plasmò, sia che cantasse con il suo timbro alto e sottile (azzardiamo:'depresso'!), che suonasse la sua dolce chitarra ritmica bottleneck (collo di bottiglia) o che soffiasse nelle sue armoniche e chromatic harps. Il suo particolarissimo marchio di fabbrica armonicistico é ancor oggi patrimonio dell'immenso popolo blues del pianeta: mutuato dai maestri di colore Little Milton, Junior Wells e Sonny Boy Williamson é creativo, potente, ma anche all'occorrenza molto dolce e remissivo.

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Living The Blues (1968, Liberty)
Il grandissimo merito dei Canned Heat fu quello di riplasmare l'urban blues elettrico affogandolo nella cultura 'acida' ed hippie della California della seconda metà degli anni '60. Il risultato più eclatante di questa combustione spontanea fu "Living The Blues" del 1968, che si mostrava sintomatico sin dalle foto di fronte copertina ed interna (si trattava di un bel doppio vinile apribile) dal forte sapore psichedelico-ecologista: la prima ritrae gli estasiati membri della band stipati in una sorta di scuro antro in riva al mare, investiti oniricamente dalle rifrazioni rosso-viola di una bolla lisergica,e nell'altra appaiono nudi in dissolvenza completamente immersi nella natura. La foto di retro-copertina é quella che stigmatizza potentemente l'humus estetico-storico-creativo dell'album e sigilla le meraviglie di blues lisergico disseminate nei brani: Henry'Sunflower' Vestine, dall'interno di un gigantesco pluricromatico girasole-bolla lisergica apostrofa a mò di Cristo psichedelico i compagni di banda posti in basso.
L'altra grande peculiarità musicale del Canned Heat fu lo sviscerare il galoppante e coinvolgente filone 'boogie'rock: partendo dalle intuizioni ritmiche del bluesman seminale John Lee Hooker (grandissima la sua influenza in brani come My Mistake, An Owl Song) ne esplorarono ogni anfratto accelerandolo e rallentandolo di volta in volta; la band ne fece quasi una filosofia esistenziale oltre che artistica, a partire dall'hit On The Road Again e dagli undici minuti di Fried Hokey Boogie, entrambi compresi in "Boogie With Canned Heat" sino ai 40 minuti e 51 di Refried Boogie, l'incredibile sublimazione/esaltazione 'live' di quella filosofia in chiave acida e dilatata che occupa le due intere facciate del secondo disco di "Living The Blues". Nelle due facciate i quattro strumentisti della band si ritagliano enfaticamente delle lunghe e psichedeliche porzioni soliste improntate al tipico spirito 'jam' che infiammava quegli anni nelle quali sfoderano senza risparmiarsi le formidabili tecniche di cui erano in possesso: eccessi che sarebbero poi stati rigettati e condannati senza pietà dalla nuova onda punk americana ed inglese di dieci anni dopo, ma che in quel momento storico ci apparirono come delle 'esaltanti', lisergiche avventure sonore.

"L'intero secondo disco, un lunghissimo 'boogie' fu registrato dal vivo durante uno show al Kaleidoscope club di Los Angeles, diretto da Skip Taylor e John Hartman, dove i Canned Heat fecero da house-band durante il 1967 e buona parte del 1968. I membri della band insistettero che il doppio album fosse venduto al prezzo di uno, regalando a chi l'avesse acquistato 40 minuti di 'free boogie music'. La casa discografica abbozzò ma alla fine lo vendette al prezzo standard di un doppio album"(from 'Blind Owl Blues' by Rebecca Davis Winters)

Il 'boogie' fu ripreso poi tantissime altre volte dai Canned Heat nei loro brani, come in So Sad (The World's in a Tangle), My Time Ain't Long, One Kind Favor, Boogie Music. Come scrive Rebecca, Alan Wilson sperimentò delle fusioni tra il sistema modale della musica indiana e quello pentatonico della tradizione blues americana raggiungendo dei risultati assolutamente inediti per l'epoca ma ancor oggi stupefacenti, la Winters li chiama 'raga blues': oltre che in On The Road Again si possono ascoltare in particolare nella lunga porzione Parthenogenesis (quasi 20 minuti) contenuta in "Living The Blues", divisa (coerentemente col titolo) in 9 sperimentali segmenti musicali di tutti i membri apparentemente slegati tra loro. Blind Owl suona la Jaw-Harp, la Chromatic Harp nelle sezioni Rollin' & Tumblin', Nebulosity, Raga Kafi, Childhood's e in Five Owls compaiono addirittura 4 linee di armonica sovraincisi. I risultati sono difficilmente etichettabili: anelli sonori di concentrazione mistica, arcane albe 'spirituali'. Ma come dicevo anche gli altri Canned Heat danno vita in Parthenogenesis (che rimane il loro picco creativo-sperimentale) a clamorose creature sonore figlie del climax hippie ed acido californiano di quei giorni: Henry Vestine in Henry's Shuffle dà un eloquente saggio del suo concitato/penetrante fraseggio chitarristico ed in Sunflower Power ed Icebag si abbandona agli eccessi di ben 5 chitarre sovraincise, sature, distorte e cariche di feedbacks lisergici; Adolfo 'Fido' Dela Parra in Snooky Flowers edifica una fitta stordente jungla percussionistica, coadiuvato dalle congas di Mole-Larry Taylor. L'inglesissimo blues-father John Mayall, grande amico e sodale dei Canned Heat - citerà affettuosamente Bob Hite e c., ed i bei giorni passati con loro in quel 1968 a Laurel Canyon, Los Angeles nel brano The Bear su "Blues From Laurel Canyon" (1968, Deram) - accompagna 'solitario' al piano Bob Hite in Bear Wires. Ma in Living The Blues trovano posto sul primo vinile anche delle stupende variazioni blues più canoniche: il lento ed avvolgente Sandy's Blues scritto da Robert 'Big Fat' Hite, nel quale il vocalist ci regala una superba performance da blues-crooner; le corpose rielaborazioni di Pony Blues (Charley Patton), Walking By Myself di Jimmy Rogers, con John Mayall al piano ed un eccezionale creativo solo all'harmonica di Wilson, One Kind Favour (Tatman) sempre cantate da Hite; Wilson duetta deliziosamente alla voce con Hite 'il burbero' nella programmatica Boogie Music (L.T. Tatman III) ed interpreta soavemente due sue songs. La prima é la più volte citata, geniale Going Up The Country (con un memorabile flauto 'agreste'):

"E' decisamente l'unico brano composto da Alan Wilson pregno di un sentimento di felicità. Il suono della voce di Wilson suona invitante e gioioso mentre canta di abbandonare la città per andare dove non era mai stato prima. E' il suo amore per la natura, espresso attraverso l'altro suo amore, la musica" (Rebecca Davis Winters)

La seconda song é l'autobiografica dolente My Mistake con le due chitarre (Alan e Henry) dialoganti, ancora una volta debitrici all'ineffabile (lento) boogie-mood del maestro John Lee Hooker.

"My Mistake parla di una specifica storia individuale. Wilson descrive di quali tormenti é stato vittima per colpa di una ragazza e quanto questo l'ha depresso. La fine del brano ha delle parole positive nelle quali Alan si augura di non piangere più, ma non si può certo dire che l'intera canzone trasudi felicità" (R.D.W.)

"Living The Blues": un album fondamentale, ancor oggi una pietra di paragone nell'evoluzione del blues-rock psichedelico più creativo. A perfetto corredo il libro (se riuscite a trovarlo) scritto dal batterista Adolfo Fito de la Parra insieme a Marlane McGarry "Living the Blues- Canned Heat's Story of Music, Drugs, Death, Sex and Survival", nel quale racconta le tre decadi vissute con la band.
Wally Boffoli

Refried Boogie 1A - Canned Heat
Refried Boogie 2A - Canned Heat
Sandy's Blues
Walking By Myself
Pony Blues

CannedHeatOfficialWebSite

* Per gli altri 4 album del periodo 1967-1970 e la discografia completa dei Canned Heat vi rimandiamo alla seconda parte di questo speciale.

venerdì 8 aprile 2011

INTERVISTE - LENNY HELSING risponde su Thanes, Wildebeests, Poets ed il Punk!

Dopo l'ottimo articolo sugli scozzesi The Poets il nostro Aldo Reali ha realizzato una lunga e davvero esaustiva intervista con un altro scozzese doc, Lenny Helsing, leader dei Thanes: oltre che del suo gruppo madre Helsing, ci parla anche degli Wildebeests, degli stessi Poets e, attraverso vividi ricordi, della sua giovinezza spesa in pieno boom punk (wally)



Distorsioni: Lenny, il tuo nome sarà sempre associato prima di tutto con i Thanes che sono in giro da circa 25 anni, che ne pensi di tutto questo?
Lenny Helsing: Beh sì, in realtà non ho mai pensato che i Thanes sarebbero stati ancora in giro dopo così tanti anni, però hanno continuato per la loro strada ed infatti tuttora continuano: pur essendo l’unico membro costante in tutte le formazioni del gruppo, ci sono stati periodi con line-up piuttosto stabili.

Ricordo che dopo Hey Girl e l’album di debutto “The Thanes of Cawdor” (1987) c’è stato un periodo in cui ci si è chiesto se i Thanes si fossero sciolti o così sembrava vivendo in Italia in quegli anni pre-internet. Cosa principalmente dovuta all’assenza o alla difficoltà di trovare dischi del gruppo, parliamo intorno al 1989.
Sì, posso capire che per molte persone i Thanes fossero quasi spariti per qualche anno, però eravamo – come ben sai – sempre attivi affinando la nostra “arte”, facendo molti concerti in vari posti, e sempre tentando di venir fuori con qualche canzone nuova e covers interessanti da far conoscere alla nostra audience. Però non sempre avevamo dischi nuovi e immagino che molti fans in Italia o in Spagna, o in Germania e USA non sapessero esattamente cosa stesse succedendo con noi, e a volte anche avendo un disco nuovo, dipendendo dall’etichetta che lo pubblicava difficilmente si aveva la distribuzione necessaria che facesse in modo che il nostro nome raggiungesse un pubblico più vasto.

Poi è venuto un periodo di circa 10 anni (1993-2004) in cui il gruppo senz’altro raggiunse una certa stabilità e pubblicò un paio di albums. Che cosa ne pensi di quegli anni e in particolare di quei dischi?
Sì, sono veramente molto orgoglioso di quel periodo dei Thanes, anche se ci sono stati dei cambi nella formazione che ogni tanto hanno ostacolato il nostro progresso. Il nostro bassista Denis Boyle ci lasciò, per essere rimpiazzato da Mal Kergan, e poi, un cambio significante è avvenuto quando se ne andò il membro co-fondatore dei Thanes, l'organista e compositore Bruce Lyall, con cui avevamo dato vita ai Green Telescope sul finire del 1980. Bruce ci ha lasciato poco dopo l’uscita di “Learning Greek Mythology” 12” EP che includeva la sua Gone Away Girl. Il suo sostituto, Nick Kennedy, é durato relativamente poco nel gruppo, trasferendosi a Berlino in realtà subito dopo la nostra visita in Italia nel 1994, che incluse la partecipazione al secondo “Festival Beat” di Piacenza con i tuoi vecchi amici Thee Hairy Fairies e The Flashback V di Barcellona. Infatti ho appena finito di scrivere una pagina sull’argomento per un libro che Luca Frazzi sta facendo in Italia. L’ultimo concerto di Nick fu la nostra umile apparizione al Velvet club di Rimini, la tua città! Anche Ian Binns smise di suonare la batteria con noi da lì a poco a causa dei suoi impegni di lavoro; comunque sono piú che felice di poter dire che chi lo ha rimpiazzato, Mike Goodwin, per fortuna suona ancora, e come si diceva in passato: “Mike is one of the best drummers in the business!”
Lo stesso vale per Mal che ha suonato con i Thanes durante oltre un decennio, contribuendo enormemente a quello che è considerato il miglior nostro materiale. Penso specificamente al LP/CD “Downbeat & Folked Up” uscito per la tedesca Screaming Apple. Come sai Mal ora vive in Galicia nel nord della Spagna e mi fa piacere che continui a suonare, prestando il suo eccellente, particolare stile di basso ai (relativamente) giovani The Phantom Keys. Penso che alcune delle canzoni che abbiamo tirato fuori all’epoca, per i due LPs, il sopraccitato “Downbeat…” e l’anteriore “Undignified Noblemen” pubblicato dall’italiana Misty Lane siano tra le nostre migliori. Dopo Nick si è aggiunto un nuovo organista e chitarrista, Angus McPake, un vecchio amico che aveva fondato The Rubber Dolfinarium verso gli inizi degli anni '80, un gruppo con cui suonavo la batteria. Siamo poi diventati The Beeville Hive V, suonando molti bei pezzi scritti da Angus: sapevo che con Angus i Thanes avrebbero contato su un apporto importante a livello compositivo, dato che fino ad allora ero io principalmente che ricoprivo quel ruolo e occasionalmente Bruce. Quindi le cose iniziarono a cambiare abbastanza dato che Angus è piuttosto prolifico e mi fece piacere che presentasse tante canzoni al gruppo. La sua It Can Never Be su “Downbeat…” è una delle migliori insieme a World Of Stone e più recentemente ha scritto dei bei pezzi che abbiamo registrato come Dishin’ The Dirt e What You Can’t Mend che vanno giù bene dal vivo. Ovviamente anch’io seguo scrivendo ma non abbiamo ancora registrato certi brani come si deve.

Siete appena tornati dalla Grecia, la prima volta per i Thanes, come vi è andata?
La Grecia è stata uno schianto! Abbiamo fatto solo due concerti, uno ad Atene e l’altro a Larissa però le due serate sono state entrambe speciali ognuna a modo suo. Il Tiki Club a Atene è piuttosto piccolo ed era pienissimo con una gran atmosfera. Ci sono già dei video su You Tube che si possono vedere. No No No No e I’m A Fool non sono male. Lo Stage club di Larissa era più grande però è venuta meno gente. È stato comunque un bel concerto e nel corso delle due serate la gente sembra essersi divertita molto con i Thanes. Il tutto é stato organizzato da The Coalminers Corp, un team di promotori composto da gente in gamba a cominciare dal mio vecchio amico Costas di Creta, che si fa chiamare Mr Optical Sound, inoltre ci sono Takis e Johnny. Tutti e tre sono DJ appassionati dei 60s, così mi hanno chiesto di portare dei 45 da mettere su durante le due serate e come puoi ben immaginare Aldo, è stato un bel sound trip per me.

Chi fa parte dei Thanes in questo momento e quali sono i vostri progetti futuri?
The Thanes sono: il sottoscritto, sempre alla voce e chitarra, Angus McPake organo, chitarra e 12 corde, Mike Goodwin alla batteria e Mark Hunter al basso e backing vocals. Mark è il piú nuovo dei Thanes, essendo arrivato giusto in tempo per il nostro concerto come supporto ai Sonics al Cavestomp di New York nel 2007, che fu una grande esperienza. Attualmente stiamo vedendo di registrare alcune delle nostre ultime canzoni, con l’idea di poterle pubblicare più tardi nel corso di quest’anno. Stiamo registrando nell' home studio di Angus, Ravencraig, dove Les Bof! – con Angus alla chitarra – hanno registrato il loro nuovissimo LP che uscirà presto per la tedesca Copas Disques. Speriamo che i Thanes possano contare su un nuovo singolo questa estate, pubblicato dall’etichetta inglese State records dei nostri cari amici The Higher State, però abbiamo anche altre sorprese di cui è meglio non parlare troppo, nel caso poi non se ne faccia niente.
In questo momento c’è anche un’altro progetto che ha a che vedere con i Poets, sì proprio loro, lo stesso gruppo beat, magnifico ed unico, proveniente da Glasgow, Scozia e originalmente attivi negli anni '60. Membri dei Poets e dei Thanes hanno lavorato sodo provando e perfezionando molti dei loro tesori usciti all’epoca per la Decca e Immediate e presto potranno essere apprezzati dal vivo. Ci sarà un assaggio venerdí 6 maggio al 13th Note di Glasgow in King Street, quando ai Thanes si uniranno per un paio di pezzi George Gallacher e Fraser Watson dei Poets. Speriamo in un evento ed un’apprezzamento maggiore di questo progetto a Edimburgo alla fine di luglio durante The Big Stramash organizzato da Angus ed alcuni amici!

Quando avete suonato per la prima volta in Italia e che ricordi hai di quel momento o di concerti più recenti?
Credo che la prima volta sia stata nel 1989 o forse 1990, con un concerto messo su all’ultimo minuto suonando a un sit-in che durava tutta la notte all’Università di Stato di Milano, però dovevamo suonare inizialmente in uno squatter in centro che sembra che stesse letteralmente cadendo a pezzi. Abbiamo suonato anche a Pisa, Torino credo, e anche nel famigerato Forte Prenestino, un centro sociale tipo squat che si trovava in un vecchio castello a Roma, gestito da punks, un’affare piuttosto incredibile. Sembra che in un certo modo fossimo stati fortunati di averci suonato dato che da quello che mi hanno raccontato erano solamente punk bands genuine che potevano suonare in quel posto. Però senza dubbio lì suonarono i Thanes, su di un altissimo palco e ricevendo una buonissima accoglienza. Avevano una cucina vegetariana stupenda, ci hanno fornito tonnellate di birra e in più ci pagarono bene.

Hai sempre avuto a che fare con molte bands, però ce n’è una che certamente ha occupato un sacco del tuo tempo dal 1995 o giù di lì: The Wildebeests, come è iniziato tutto?
In realtà tutto iniziò quando mi incontrai con il bassista John Gibbs ad una fermata d’autobus in Leith Walk, Edimburgo, un paio di giorni dopo che lo buttassero fuori dai Kaisers nell’ottobre del 1994. Mi disse di voler iniziare un gruppo nuovo, così gli risposi che sarei stato interessato a picchiare la batteria se si trattava di un
beat group. Liam Watson dello studio Toe Rag di Londra disse a John che l’ex-bassista dei Milkshakes, Russ Wilkins stava vivendo a Edimburgo o da qualche parte lì vicino e che sarebbe stata un’ottima scelta come chitarrista. Una volta stabilito il contatto, ci mettemmo d’accordo per trovarci una domenica pomeriggio nella cantina di prove dei Thanes in Great King Street, e ci rendemmo conto subito che erano molte le cose in comune che amavamo: dal primo blues e r’n’b al rock’n’roll, al beat, garage, psych fino a certo prog e hard-rock, gli inizi del glam ed un sacco di cose del primo grande punk; inoltre sembrammo capaci di canalizzare tutta quella energia pura e trasformarla in qualcosa di nostro. Voglio dire che in quel pomeriggio, anche se abbastanza crudamente, registrammo circa un’ora di ciò che erano le nostre influenze, dandoci una solida base su cui costruire il nostro suono durante i prossimi sedici anni.

Quali sono alcuni dei tuoi gruppi e dischi favoriti del momento?
Attualmente adoro The Higher State “Darker By The Day” LP, “Red Dissolving Rays Of Light” LP dei Loons e Os Haxixins’ “Under The Stones” LP ed i vari 45 relazionati. Mi piace anche Paul Messis ed i suoi vari 45. Qualcosa di piuttosto differente che mi piace molto è il disco di Barton Carroll “Together You And I”. Ha suonato prima dei Mudhoney qui ad Aberdeen l’ottobre scorso ed è stato fantastico (folkin’ great!). Tra i grandi concerti visti ultimamente ci sono stati The Hidden Masters di Glasgow che come sai includono il nostro caro amico Alpha Mitchell al basso. Il concerto con The Higher State è stato incredibile. Andando più indietro, fu una grande esperienza aver potuto cantare con gli Outsiders al Primitive festival di Rotterdam nel 2008, uno degli highlights della mia vita!

Chissà non molti lo sappiano, almeno in Italia, che sei stato in punk bands. Raccontaci di quel periodo, le bands che hai visto dal vivo e l’intera atmosfera in Scozia oltre 30 anni fa.
Ho iniziato in gruppi pop nell'era dei Bay City Rollers, però il punk stava lì per esplodere, e mi ci sono immerso completamente. Il cugino di un’amico mi disse di un gruppo di Edimburgo (io vivevo in un paesino a circa 10 -15 km) che stava iniziando e cercavano un cantante. Mi misi d’accordo per incontrarmi con il chitarrista e vedere se ne sarebbe venuto fuori qualcosa (era Steve Fraser, che più tardi farà parte dei Green Telescope, suonando nelle registrazioni delle nostre versioni di Syd Scream Thy Last Scream e dei Calico Wall I’m A Living Sickness). Era il 1978, quindi a quel punto c’era già stata abbastanza attivitá punk in città, e mentre non sono riuscito a vedere i primissimi concerti, ne ho visti molti tra il ’77 e‘79 includendo The Damned (con i Dead Boys), The Jam, The Clash (con Suicide), The Boomtown Rats, Dr. Feelgood, The Radiators From Space (aprendo per Thin Lizzy), 999, The Buzzcocks (con le Slits), Siouxsie and the Banshees (uno con Spizz Oil, l’altro con i Simple Minds), Ultravox, Adam and the Ants (con i Monochrome Set), The Cure (con The Associates) oltre a molti gruppi locali come Scars, The Ettes, Visitors, The Prats, Matt Vinyl and the Decorators, The Skids, The Valves, The Exploited (proprio agli inizi), Another Pretty Face, TV Art (che divennero Josef K), The Dirty Reds (poi diventati The Fire Engines). In realtà fu un momento veramente incredibile: ci incontravamo il sabato pomeriggio tra molti di noi giovani punks, più che altro divertendoci in giro, camminando per la città e sapendo che la nostro aspetto si faceva notare per le strade, andando a dare un’occhiata nei vari negozi di dischi e magari berci una o due birre (eravamo ancora minori d’età) in uno dei pochi bar che non si facevano problemi che entrassero dei punks. Alcuni negozi di dischi come Hot Licks, Bruce’s e Virgin erano tra i pochi dove i punks potevano entrare, anche se non compravano niente (specialmente se avevi solo 14-15 anni e pochi soldi) però era bello stare in giro insieme ascoltando un pò di musica, sapere se c’era qualche concerto etc. Phoenix era un’altro negozio in città che non faceva problemi. Alcuni amici punks un pò più grandi studiavano all’Art college ed uno dei passatempi favoriti era quello di scoprire quando ci fosse una “private view”, un’inaugurazione, ed arrivarci appena iniziava e aproffittare degli aperitivi e vino gratis – infatti a volte il vino scorreva piuttosto liberamente ha ha ha! - Un’altro negozio, Ripping records organizzava dei bus per andare a concerti fuori città: è così che ho visto i Banshees e i Simple Minds a Glasgow, o The Clash con Mikey Dread, e ancora The Clash al Kinema di Dunfermline con i Suicide. Alcuni dei punks quella sera odiarono i Suicide e passarono tutto il tempo urlandogli oscenità e sputandogli. Noi invece pensammo che erano stati grandi.

Come hai iniziato a interessarti alla musica dei 60s?
In realtà penso che si deva a varie cose. Mi interessava la musica rock molto prima che arrivasse il punk sulla scena, quindi sapevo comunque già abbastanza sulle origini di varie bands. Leggevo sempre NME, Sounds e Melody Maker. Il cugino di un’amico durante l’estate del 1973 o 1974 ci invitò ad ascoltare specificamente “SF Sorrow” dei Pretty Things, la versione americana con la copertina a forma di lapide, un disco che mi suscitò una grande impressione, tanto che ogni volta che trovavo una foto dei Pretties o qualcosa che avesse a che fare con loro la ritagliavo e l'aggiungevo alla mia lista di foto ed altro che stavo accumulando, cose relazionate alla ossessione per i gruppi rock che continuava a crescere. Poi un’amico di scuola prestò a mio fratello o a me “Relics” e “The Piper At The Gates Of Dawn” e mi innamorai dello stile di Syd Barrett molto di più che del disco del momento che era “Dark Side Of The Moon”. Iniziai anche ad ascoltare John Peel alla radio che ogni tanto usciva con delle cose tipo Oh Yeah degli Shadows of Knight o I Had Too Much To Dream (Last Night) degli Electric Prunes e addirittura cose più strane della psichedelia UK, come Wallpaper dei Pregnant Insomia. Poi quando il punk esplose a livello di massa, Record Mirror aveva iniziato una “star chart” ogni settimana, una top ten di una rock o punk star, e ricordo che vidi che Gene October dei Chelsea aveva messo The Seeds Pushin’ Too Hard o gente come Lemmy; inoltre Radar records aveva appena pubblicato You’re Gonna Miss Me e “Psychedelic Sounds Of The 13th Floor Elevators” e si trovavano dischi come l’album “Gloria” degli Shadows of Knight; ovviamente c’erano varie punk bands che facevano referenza ai 60s, dai Generation X ai Damned ed era chiaro il loro amore per gli Stooges e MC5, anche i Sex Pistols. Era arrivata anche la prima 60s garage compilation “Nuggets” a cui fu data una nuova copertina da parte dell’etichetta Sire, casa dei Ramones e dei Rezillos di Edimburgo. Arrivarono anche altri segnali tipo i Radiators From Space che eseguivano Psychotic Reaction sul retro del loro 45 Enemies del ’77, e gli Undertones con un’altro classico Nugget Let’s Talk About Girls della Chocolate Watch Band. Più tardi sentimmo i TV Personalities grazie a Peel e le cose diventarono sempre più strane e primitive: da lí a poco si scoprirono cose più dure, più garage punk etc.

Gruppi favoriti: so bene che sono tantissimi a dover essere nominati, però magari ci puoi fare dei nomi di gruppi meno noti che senti che meritino essere scoperti.
The Sound Magics dall’Olanda, The Dovers dagli USA, The Boston Dexters da Edimburgo, String and the Beans dagli USA, Dean Ford and the Gaylords dalla Scozia, Our Patch Of Blue, Randy and the Rest dagli USA, The Talismen dall’Inghilterra, gli israeliani Churchills, The 20th Century Sounds dalla Scozia, Los Vidrios Quebrados dal Chile, The Paramounts dal Belgio, anche Union Jack, e molti, molti di più.
cheers for now Aldo ... your pal Lenny
(a cura di Aldo Reali)
MySpaceTheThanes
MySpaceWildebeests

Purtroppo vari dei video su youtube hanno un pessimo audio, qui sotto una lista di video con buona qualitá:

THANES
I got nightmares
Story of your life
I’ve seen darker nights

WILDEBEESTS
She lives
Cadillac
Just like me

Links solo audio (Thanes)
Buzz buzz (yeah yeah)
Wonder if
Never make me blue
In God I trust
Keep you out